Don’t hate the media, become the media.

a cura di Chiara Guerra e Sophia Anut

Ormai, ci troviamo in un’era in cui la società è caratterizzata e fondata sull’uso dei Social Network e dei media. La nostra è una vera e propria società digitale.

I Social sono diventati una piattaforma milleusi, a partire da una banale foto o frase postata senza uno scopo preciso, fino a dare vita a vere e proprie proteste sociali. Senza rendersene conto con un semplice commento, chiunque potrebbe generare un conflitto coi fiocchi. Questa svolta comunicativa portata dai Social ci ha resi, da una parte, una società connotata da un’individualità estrema  ed, al contempo, una società segnata da un nuovo desiderio di comunità e solidarietà collettiva. Un esempio interessante è il modo in cui i movimenti di protesta sociale utilizzano i Social.

Spesso tutto parte da una sola persona. Via via se ne aggiungono altre, fino a creare gruppi di migliaia di menti connesse tutte rivolte al raggiungimento di un obiettivo comune. Delle individualità disperse, possono diventare quindi un gruppo unito capace di portare avanti le più svariate rivendicazioni.

Grazie a questo modus operandi un gruppo di ragazzi del Liceo di Parkland in Florida, sede della sparatoria avvenuta per mano di un ragazzo di 19 anni che ha causato la morte di 17 persone, hanno dato vita ad una campagna a favore di leggi più restrittive riguardo il possesso di armi da fuoco negli Stati Uniti. Tutto è iniziato con un hashtag su Twitter: #neveragain; da quel momento, il movimento dei “giovani ribelli americani”, creato e guidato da Emma Gonzalez, Cameron Kasky e altri studenti, è diventato sempre più virale, tanto che, persino personaggi famosi come George Clooney e Oprah Winfrey, hanno finanziato e sostenuto il movimento.

Il 24 marzo del 2018, sono riusciti a riunire due milioni di persone in tutti gli Stati Uniti, in una marcia chiamata March For Our Lives. Ad oggi, è stata la seconda più grande protesta  di sempre dopo la Women’s March on Washington e la più estesa protesta studentesca nella storia degli Stati Uniti. “Gli adulti ci dicono ‘staccatevi dai telofoni’ ma i Social Network sono la nostra arma”, spiega Corin, uno dei fondatori del movimento “senza i Social Network il movimento non sarebbe cresciuto così rapidamente”.

Già nel 1999, prima dell’invenzione dei social media, l’Independent Media Center, chiamata anche Indymedia – rete di mezzi di informazione collettiva e indipendente animata dall’esigenza di fornire una radicale, accurata e appassionata esposizione della verità – aveva assunto un ruolo importante nell’ambito delle proteste sociali. Indymedia era stata fondata infatti con l’intento di sostenere le proteste portate avanti dal movimento no-global contro la World Trade Organization  (organizzazione mondiale del commercio) a Seattle; fondamentale, perciò il suo il ruolo di diffusione democratica di materiali di informazione come articoli via stampa, audio, video o  documentari, rendendoli di pubblico dominio.

Un altro esempio del modo con cui una piattaforma on-line al giorno d’oggi possa acquisire una utilità in vista della sensibilizzazione e dell’attivismo su varie problematiche sia individuali che collettive, potrebbero essere le petizioni lanciate su Change.org, Società gratuita fondata nel 2007 nel cuore della Silicon Valley. Si va da petizioni per l’attuazione di norme sull’autismo per un accesso più facilitato a cure mediche; a richieste di incentivi per coloro che bonificano i tetti dall’amianto e passano al fotovoltaico fino alla protesta contro la chiusura di spazi ormai diventati punti di riferimento per i cittadini.

È importante comprendere che l’utilizzo dei social può concorrere a nostro vantaggio se usato in modo adeguato, anzi questo strumento dà la possibilità a tutti di essere artefici di cambiamenti che vorremmo vedere attuati nella nostra società. Non importa il sesso, l’età o l’etnia, con i social navighiamo tutti sulla stessa onda.

“Don’t hate the media, become the media”  (Slogan di Indymedia)

Chiara Guerra, Sophia Anut

 

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